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8 Luglio 2005: Gamers4um è finalmente un "vero" forum... da parte mia
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Turrican3

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Soldi, soldi, soldi. Basta solo che ne parli bene

Aperto da Bluforce, 21 Gennaio, 2014, 07:17:25

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Bluforce


Joe


Frozzo

Da un punto di vista propagandistico è una mossa eccellente, visto che la credibilità dei siti di vg è andata via via calando -a Roma si direbbe "sono stati sgamati"- proprio in favore degli youtuber indipendenti e quindi se c'è da corrompere investire è ora che venga fatto su queste persone.
Da un punto di vista morale direi che è la solita merdata squallida e infame in pienissimo stile M$, ma d'altronde da un albero di mele non può nascere una pera

Bluforce

#3
Nuovi dettagli. Parrebbe che una cosa del genere sia stata fatta anche a novembre:

http://reconxbl.blogspot.it

Gente di Machinima sparisce da Twitter (e gli account vengono subito riutilizzati a favore di questo scandalo), e la pagina YouTube di Machinima viene assaltata da gente infervorata.
https://twitter.com/ClickInsect
https://www.youtube.com/user/machinima/discussion

Turrican3

E c'è ancora gente che mi viene a parlare di Metacritic come Bibbia inattaccabile del valore "oggettivo" del videogioco...

Che amarezza, ma è così che gira il mondo: non posso dire, ahimè, di essere stupito più di tanto dall'andazzo.

Bluforce

Sarebbe da capire se la cosa è unidirezionale, ossia MS->Machinima, o multidirezionale. Nel senso MS->altri, e se anche Sony e Nintendo mettono in atto contratti di stealth marketing come questo.

Frozzo

Citazione di: Bluforce il 21 Gennaio, 2014, 10:41:04
Sarebbe da capire se la cosa è unidirezionale, ossia MS->Machinima, o multidirezionale. Nel senso MS->altri, e se anche Sony e Nintendo mettono in atto contratti di stealth marketing come questo.

Visti i gavettoni di merda che si sta prendendo Nintendo da qualche anno a questa parte, se han pure loro un sistema simile è meglio che lo riformino prima di subito  :lol:

Bluforce

#7
Citazione di: Frozzo il 21 Gennaio, 2014, 10:45:15
Visti i gavettoni di merda che si sta prendendo Nintendo da qualche anno a questa parte, se han pure loro un sistema simile è meglio che lo riformino prima di subito  :lol:
eheheheheh, effettivamente l'ho messa solo per par condicio...

Potevo mettere, che so... EA. Vuoi che EA faccia cose simili? No... no...
E invece sì  :D

http://m.neogaf.com/showthread.php?t=755600

Turrican3

CitazioneScritto da Hasan Ali Almaci (@FishieFlopOog)  - Traduzione di deveroos

L'articolo seguente risale al 2007, quando fu proposto a diverse testate olandesi e belghe; per questo motivo, alcune informazioni potrebbero essere non del tutto aggiornate. Nonostante prima della pubblicazione me lo aspettassi, l'articolo mi ha causato non pochi problemi (molti publisher ed editori mi hanno letteralmente evitato per anni). Mentre programmo la mia uscita di scena come giornalista a tempo pieno nell'industria videoludica, ho deciso di pubblicare questo pezzo in altre lingue (originariamente lo scrissi in olandese), poiché ho ricevuto richieste da molte persone di poterlo leggere in un linguaggio a loro comprensibile.

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Gli albori della stampa videoludica: il caso GameFan

Quando per la prima volta iniziai ad interessarmi di stampa videoludica, le riviste che sfogliavo in edicola (non potevo ancora permettermele) riguardavano perlopiù informazioni essenziali, e codici di hack per i software ad uso commerciale. Riviste come CVG (Computer and Videogames, ndr) avevano pagine intere di codici per aggiungere un nuovo livello al gioco o addirittura ottenere un gioco completo per qualsiasi piattaforma il linguaggio si riferisse. L'industria maturava -a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta- e così la stampa videoludica. Da riviste underground e fanzine, l'editoria dei videogiochi si evolveva in testate professionali che continuavano a svolgere la stesse funzione di prima: informare i lettori sugli ultimi sviluppi del loro passatempo preferito. Cosa cambiò, tuttavia, era il fatto che divennero remunerative per i grandi editori, i quali investivano in loro palate di soldi. Da rozze grafiche disegnate a mano e pezzi talvolta illeggibili, a layout professionali ed articoli rivisti e corretti. Agli editori ed ai loro reparti commerciali importava poco del contenuto degli articoli, perché le riviste portavano ricavi e giustificano l'investimento intrapreso. Per questo motivo, la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta possono essere identificati come l'epoca d'oro delle riviste di videogiochi, dove i contenuti non erano limitati al mercato domestico, ma trattavano di import e persino argomenti come la pirateria e la modifica delle console.

E poi c'era GameFan. Quando GameFan apparve nelle edicole, una certa disillusione serpeggiava tra molti videogiocatori. La pressione che molti produttori di console e videogiochi esercitavano sulle riviste portò alla quasi totale eliminazione della copertura dei giochi import e di nicchia. Alcuni videogiocatori si sentirono esclusi dalle riviste più popolari e vendute, e quindi GameFan fu per loro come manna dal cielo, poiché offriva quei contenuti tralasciati dai big del settore. Ciò che non riuscirono a realizzare fu che GameFan avrebbe portato ad una nuova era per l'industria, un'era di compromessi e situazioni contro i quali si stavano ribellando.

Originariamente, GameFan si chiamava DieHard GameFan (DHGF), ed era una rivista pubblicata da Dave Halverson per promuovere i giochi d'importazione che vendeva nel suo negozio (DieHard GameFan per l'appunto). I lettori, ovviamente, non si rendevano conto che c'era un conflitto di interessi enorme, e così continuarono a comprare GameFan per ribellarsi alle riviste di massa, che ritenevano avessero perso la loro credibilità sotto la pressione delle grandi compagnie di videogiochi. Come GameFan cresceva, però, l'attenzione sul suo operato era sempre più alta, e cominciavano le pressioni da parte di hardware e software house, che pubblicizzavano i loro prodotti sulle pagine della rivista. Il culmine si ebbe con un enorme e pubblico dibattito con Working Design (compagnia che localizzava videogiochi per il mercato americano, ndr), capitanata da Vic Ireland, il quale decise di rimuovere tutto il materiale pubblicitario da GameFan. La tattica funzionò: dopo aver perso un bel po' di introiti a causa della mancata pubblicità di Working Designs e qualche altra compagnia, Dave Halverson fu costretto a pubblicare un mea culpa su GameFan, scusandosi con Vic Ireland per i motivi che scatenarono il dibattito (a quanto pare, una recensione troppo frettolosa di Lunar 2 per Sega CD, ndr). Così, ironicamente, la rivista che i videogiocatori compravano per protestare contro le testate più popolari accelerò il processo di erosione della libertà di stampa nel settore.

Per i produttori di console e videogiochi questo accadimento fu rivelatore: realizzarono di avere un grande ascendente nei confronti delle riviste, attraverso il loro principale generatore di introiti: la pubblicità. Una nuova epoca era iniziata.

L'avvento di Internet e dei blog

E non era solo questa ingerenza delle compagnie nei contenuti editoriali a danneggiare le riviste, ma anche l'avvento di Internet. Alcune riviste ne uscirono con le ossa rotte, e diventarono nient'altro che tristi cataloghi pubblicitari, con promozioni camuffate da notizie (e molte non sopravvissero). Con Internet crebbe l'influenza delle compagnie di videogiochi attraverso i loro reparti di marketing. Inizialmente, Internet diede l'opportunità di riacquistare un po' di indipendenza, andata perduta negli anni precedenti. Nel 2000, però, la bolla di Internet scoppiò, e molte testate si ritrovarono senza fondi, visto e considerato che non avevano altre forme di finanziamento se non i venture capitalist (finanziatori specializzati in compagnie giovani e nuovi settori del mercato, duramente colpiti dalla crisi di quel periodo, ndr). Da un giorno all'altro, Internet divenne un luogo molto differente, anche per il mondo dei videogiochi. Ciò che rimase nel post-bolla era rappresentato da due estremi: i grandi siti che sopravvissero senza problemi, e le realtà molto piccole, mantenute dalla passione dei videogiocatori, con tanto tempo e poco interesse per gli affari.

I giorni peggiori erano passati: così pensavano gli editori delle riviste e delle testate online rimaste, vista la tempesta che avevano subito, e dalla quale erano usciti più forti di prima. Coloro che sopravvissero erano grandi abbastanza da non doversi preoccupare delle realtà amatoriali; d'altronde, erano loro a ricevere i comunicati stampa, i contenuti da recensire e gli inviti per assistere alla presentazione dei progetti AAA. La maggior parte delle testate era abbastanza felice di questa industria rinnovata, dove stampa ed Internet potevano coesistere, e dove i contenuti esclusivi erano equamente divisi. Ogni tanto si presentavano degli intoppi, quando un sito più piccolo che non aveva alcuna restrizione (i cosiddetti NDA, ndr) faceva trapelare notizie, o quando qualche giornalista rancoroso rilasciava al pubblico informazioni riservate, originariamente destinate ad una certa testata... Beh, cose che succedono, no? D'altronde, non si possono controllare migliaia di persone tutto il tempo, perciò a volte accade che qualcuno riveli informazioni confidenziali prima degli annunci ufficiali – ad esempio, nel 2007, un giornalista freelancer brasiliano scovò le password per accedere al materiale riservato sui server del sito 1UP (ora facente parte di IGN, ndr), trovando così immagini ed informazioni riguardanti Street Fighter IV prima della data stipulata tra la testata e Capcom. Come ho scritto prima, queste cose possono succedere, e le testate sopravvissute poterono godere di un periodo di calma, specialmente dopo quello che avevano attraversato negli anni precedenti.

Mentre accadeva tutto ciò, però, un nuovo pericolo si stava silenziosamente avvicinando per i sopravvissuti della crisi dei primi anni Duemila: molti piccoli siti indipendenti non solo non erano spariti, ma stavano ritornando in auge, e non erano da soli. In breve tempo, furono accostati da un nuovo fenomeno di Internet: i blog. Nel frattempo i grandi siti come IGN e Gamespot crescevano così tanto da far gola ai grandi gruppi editoriali (IGN, per esempio, passò dalla News Corp. del magnate Robert Murdoch a Ziff Davis, mentre Gamespot divenne parte di CBS Interactive, la stessa del canale televisivo statunitense). I siti più piccoli ed i blog, invece, non avevano alcun legami con i piani alti del settore, e grazie alla loro indipendenza (o in alcuni casi di stupidità) riuscivano a raccontare storie differenti rispetto i grandi siti.

L'E3: da evento per tutti ad evento esclusivo

Il problema più grande per i giganti dell'industria era rappresentato da un evento che non ha certo bisogno di presentazioni: l'E3 (Electronic Entertainment Expo, che si tiene ogni anno a Los Angeles, ndr). Dopo essere quasi imploso in seguito al crash dei primi anni Duemila, quando molti esibitori dichiararono bancarotta, l'evento era tornato a crescere, con la solita attenzione da parte dei big. Compagnie come Microsoft, Electronic Arts, Sony e via dicendo, ogni anno spendevano decine di milioni di dollari per mostrare i loro prodotti, organizzare feste all'ultimo grido, con tanto di esibizioni musicali e cibo (ed alcol) gratuiti; molte di queste compagnie, però, vedevano un ritorno limitato da questo investimento. Le montagne di denaro spese per partecipare all'E3 non impedivano alla stampa di scrivere un po' quello che pareva loro, e quindi di fare cattiva pubblicità. Electronic Arts si lamentò più volte con gli organizzatori della situazione, ed addirittura minacciò di non parteciparvi più (danneggiando potenzialmente l'evento stesso). Nei panni di una delle terze parti più grandi al mondo, Electronic Arts spendeva intorno ai 20 milioni di dollari all'anno per preparare la sua presenza; eppure, la copertura da parte dei media era spesso poco lusinghiera. Moltissimi piccoli e medi siti che partecipavano all'E3 con i loro giornalisti non avevano alcuna relazione diretta con Electronic Arts, per cui potevano riportare un po' quello che volevano e soprattutto bastonare dove c'era da bastonare. I grandi siti, invece, non potevano permettersi di esporsi troppo; non potevano, quindi, far scrivere di Electronic Arts ai giornalisti più vicini alla compagnia, perché altrimenti lo stacco tra l'opinione della moltitudine di piccoli siti e quella delle grandi realtà sarebbe stato troppo marcato, e sospetto.

Alla fine, Electronic Arts e le altre grandi aziende pensarono di aver trovato una soluzione efficace: mostrare sempre più materiale nei cosiddetti "show a porte chiuse", cioè mini-eventi all'interno dell'E3 dove solo un ristretto gruppo di giornalisti poteva entrare; questo ovviamente serviva per controllare meglio il materiale editoriale che poi sarebbe stato pubblicato. Il messaggio era semplice: hai scritto bene di noi in passato? Sei invitato a provare i nostri giochi in esclusiva. Non sappiamo chi sei, oppure hai scritto cose negative su di noi? Le porte rimangono chiuse. Inoltre, le pressioni delle grandi aziende portarono gli organizzatori dell'E3 ad accettare sempre meno siti amatoriali e giornalisti freelancer. Poi arrivò il 2006 e fu come un'enorme bomba.

Dopo una conferenza stampa disastrosa che avrebbe continuato a perseguitare Kaz Hirai (celebri le sue frasi "FIVE HUNDRED AND NINETY DOLLARS!!" oppure "It's RIIIIIIIIIIIIIIDGE RACER!"), Sony decise che ne aveva avuto abbastanza; i suoi manager si sedettero insieme a quelli di Electronic Arts e di altre grandi software house, ed insieme decisero di distruggere l'E3 che tutti conoscevano. Senza il loro sostegno finanziario, l'E3 era ovviamente impossibile da organizzare e così ridimensionarono l'evento, in maniera tale che solo pochi selezionati sarebbe potuti entrare. Gli inviti venivano compilati da liste fatte dalle software house, rendendo quindi gli editori completamente dipendenti dagli esibitori. L'idea era più o meno questa: se non sei grande abbastanza, o se sei stato troppo critico nei confronti di alcune compagnie, beh, puoi dire addio all'invito. Non fraintendetemi, c'erano molte cose sbagliate nell'E3 di prima: troppo affollato, troppi giochi in mostra, troppo spreco, e sì, troppe persone che non avevano niente a che fare con il settore. L'estremo in cui però si è caduti ha praticamente eliminato qualsiasi opportunità per i siti indipendenti di visitare l'evento e formare una propria opinione.

Chi viene invitato può essere ora meglio monitorato, e diventa totalmente dipendente dalle compagnia delle quali deve scrivere. Pareri ed opinioni negative sul materiale mostrato trovano quindi un terreno ostico, perché inconsciamente o meno, le grandi testate sono spinte a distorcere i loro contenuti per far piacere alle aziende. Missione compiuta!

Un meccanismo sottile per controllare la stampa videoludica

Qui nei Paesi Bassi abbiamo la rivista Gunk (ora 9Lives, ndr), che ha addirittura un listino di prezzi per le cover; Unlimited Power (al seguente indirizzo, ndr), che fa gestire i contenuti di Nintendo a Jurjen Tiersma, giornalista decisamente poco imparziale; ed Official Playstation Magazine, che esiste solo grazie ai finanziamenti di Sony. Quando queste tre testate locali sono le prime al mondo a recensire Assassin's Creed, e tutte tre danno il voto massimo, e nel frattempo indicono contest con premi dei prodotti Ubisoft, e casualmente forniscono moltissimi contenuti esclusivi riguardanti proprio Ubisoft... Beh, si capisce che c'è qualcosa sotto. Soprattutto quando, mesi prima, Raf Picavet (una delle più influenti persone nel settore dei media videoludici locali) quasi elemosinò i PR di Ubisoft durante la fiera di Lipsia per avere semplicemente accesso al gioco e quindi parlarne sul suo allora nuovo sito Chief Magazine (www.chief.be, ndr). Non fraintendetemi però: non sto dicendo che queste testate e questi editori sono stati letteralmente corrotti da Ubisoft; questo lo nego nella maniera più assoluta.

Non esistono pagamenti in denaro dalle aziende alle riviste o ai siti per far sì che questi spendano parole di elogio. Il meccanismo funziona in maniera più sottile, e subdola, e spesso si tratta di una serie di azioni tali da influenzare indirettamente ciò che i giornalisti scrivono, e come questi trattano il materiale di alcune compagnie.

Anche quando le parole spese non sono veramente negative, però, un giornalista oppure un editore può trovarsi sul filo del rasoio. A volte, la copertura di un evento può essere positiva, ma non è in linea con ciò che le aziende vogliono, e questo può avere ripercussioni molto gravi. Quando partecipai all'evento privato di Microsoft, l'X06 di Barcellona, notai che Jean-Francois Mammet non era presente. Jean è il proprietario del sito francese Gamersyde, e mi aspettavo di vederlo a Barcellona. Dopo essere tornato a casa, lo contattai e gli chiesi come mai non era presente. Mi disse mestamente che Microsoft ritirò il suo invito perché una settimana prima dell'evento organizzò un webcast sulla conferenza stampa di Microsoft del Tokyo Game Show; pur avendo speso ottime parole nei confronti della compagnia, Jean non aveva il "permesso" di parlarne, e quindi Microsoft lo punì escludendolo dall'evento europeo.

Per Jean fu un disastro perché seppur il sito tratti ora di ogni piattaforma, ai tempi era conosciuto come Xboxyde, e forniva contenuti esclusivi riguardanti Xbox 360. Il messaggio di Microsoft era chiaro e semplice: cammina sul sentiero che abbiamo tracciato per te, e non oltrepassarlo. I suoi lettori, ovviamente, non erano a conoscenza di questo, e quindi lo incolparono della mancata copertura dell'evento, che promise e che tutti si aspettavano.

http://www.wiitalia.it/2014/01/12/ce-del-marcio-nella-stampa-videoludica-parte-1/

Turrican3

CitazioneLa colpa dei lettori

I lettori poi (sì, anche voi che state leggendo ora questo articolo!) sono egualmente colpevoli dello stato dell'informazione video-ludica. I cosiddetti fanboy non vogliono che ci sia un giornalismo onesto: vogliono che i giornalisti confermino le loro opinioni, né più né meno; se viene riportato qualcosa di diverso, i fanboy lo prendono come un insulto personale. Un mio amico, Christian Nutt, fu la prima persona a recensire Fable, per la rivista per la quale lavorava ai tempi; diede al gioco un bell'8 su 10. Eppure, i fanboy di Molyneux (il creatore del gioco, ndr), spinti dall'enorme hype e dalle promesse che erano state fatte, decisero che il voto era basso abbastanza da aver diritto di inviargli minacce di morte... Senza nemmeno avere provato il gioco in questione.

Anche io ricevetti la mia quota di minacce quando scrissi che la presentazione di PS3 all'E3 2005 fu effettivamente uno show di computer graphics, mentre Sony dichiarò che si trattava di video di gameplay; per i fanboy, meritavo di morire per aver semplicemente detto la verità (il tempo mi ha dato ragione). La stessa cosa accadde più avanti, sempre nel 2005, quando stavo intervistando alcuni sviluppatori giapponesi. Scrissi su Internet che un rilascio di PS3 nella primavera del 2006 difficilmente sarebbe stato possibile poiché né l'hardware né il software erano ancora pronti. Tornato a casa dal Giappone due giorni dopo, le minacce continuavano a susseguirsi: mi chiamavano fanboy, dicevano che ero un affronto al giornalismo, che avrei dovuto suicidarmi e così via. Eppure in questi due casi, io e Christian facemmo esattamente quello che eravamo chiamati a fare: io riportai la realtà dei fatti, e Christian diede un voto che credeva fosse adeguato. Ma non era ciò che molti volevano leggere, e questo è parte del problema.

Così si finisce con una poltiglia grigia ed insapore dove gli unici giochi che ricevono giudizi negativi sono quelli per i quali nessuno deve temere le compagnie, o la reazione dei lettori.

Alcuni di voi, a questo punto, potrebbero chiedersi: ma c'è ancora qualcuno che può essere veramente indipendente e commercialmente profittevole, e che se ne frega? Beh, la risposta più breve è no, non è così; la risposta più articolata è no, poiché chi ci ha provato ha purtroppo fallito miseramente. In Olanda abbiamo avuto Hoogspel, la più vecchia rivista di videogiochi, che ha chiuso nel 2000 perché rifiutava le imposizioni dall'alto. La rivista giapponese Continue riesce in qualche modo ancora a barcamenarsi perché non recensisce più i videogiochi, ma tratta solo di import e retrogaming. Fu grazie a Continue che Grand Theft Auto III divenne il gioco più importanto in Giappone, e convinse Capcom a distribuirlo ufficialmente sul territorio. La formula per sopravvivere è ottenere introiti con la pubblicità di nuovi giochi ma non recensirli; parlarne ma non giudicarli; e Continue, contrariamente alla maggior parte delle riviste giapponese, esce ogni mese, e non ogni settimana.

Creare una nuova rivista od un nuovo sito che tratta di videogiochi ed è interamente indipendente è semplicemente impossibile perché bisogna per forza di cosa far affidamento sulle compagnie di videogiochi, per fare anteprime o ricevere le copie da recensire, e per scrivere notizie e quindi ottenere i comunicati ufficiali. In breve, per fornire anteprime, notizie e recensioni con un certo tempismo, bisogna dipendere dalle compagnie. Ma questo non è l'unico problema, come accennavo; se per caso, si arriva in ritardo con una recensione, perché all'azienda non è piaciuto quanto scritto sui precedenti giochi, i lettori si incazzano. Voi non volete leggere che il vostro gioco preferito fa schifo, che le sue caratteristiche principali sono state rubate da un altro gioco, magari meno famoso. Vi arrabbiate nei confronti del recensore se questo osasse dire che Metal Gear Solid IV è spazzatura, una pila infinita di stronzate pretenziose; semplicemente, non volete leggere un'opinione diversa dalla vostra. Eppure, al contempo, avete la pretesa di guardare dall'alto al basso Mister e Miss Casual Gamer, come fossero creature inferiori, perché non sono "hardcore" come voi, e non conoscono i videogiochi come voi. Come osano giocare a Wii per passare il tempo tra gli impegni della vita reale? No, voi lettori volete solamente validare la vostra opinione, e se questa differisce da quella di un giornalista, la sua è ovviamente sbagliata.

Chi sono per scrivere questo?

Molti di voi si chiederanno quindi: chi ti credi di essere per dire queste cose? Beh, il mio nome è Ali, e gioco sin dagli anni Settanta; ed è sin dagli anni Novanta che, in un modo o nell'altro, sono parte dell'industria video-ludica. A volte come un outsider, quando semplicemente vendevo videogiochi; altre come insider. Negli ultimi anni ho avuto modo di intervistare alcuni dei più noti e popolari nomi dell'industria, al di fuori dei soliti incontri per la stampa quando si presenta un nuovo gioco (che sono perlopiù programmati a tavolino, così come le domande).

Ho chiacchierato con Yuji Naka, Shigeru Miyamoto, Mark Rein, Alexey Pajitnov, Yuzo Koshiro, Tomonobu Itagaki e moltissimi altri. Ho fatto domande scottanti, e dopo abbiamo posato insieme in alcune foto dove io facevo loro le orecchie da coniglio (il segno V con le dita dietro la testa, ndr). Ora come ora, non mi interessa scrivere dei giochi in uscita. Cerco di fornire contenuti profondi e fondati, faccio le domande che molti non fanno (o che non possono fare), e che talvolta evito di pubblicare. Raramente sono invitato dalle grandi compagnie agli eventi.

Capisco perfettamente il loro punto di vista: perché investire in me (invitandomi e permettendomi di mettere le mani in anteprima sul materiale), quando sono di fatto una scheggia impazzita che non fa ciò che vogliono? Chi di lavoro promuove i videogiochi per le grandi aziende, di fatto deve organizzare le anteprime, le cover delle riviste... E questo a prescindere che il gioco lo meriti o meno. Ciò che conta è spingere il gioco il più possibile, e preferibilmente con un piano di marketing che crei hype non solamente tra i videogiocatori, ma anche tra i giornalisti. Ecco perché noi giornalisti, e gli sviluppatori stessi, talvolta possiamo metter loro i bastoni fra le ruote.

E per questo ci odiano: ci invitano a queste feste selvagge, dove c'è cibo gratis, e circola alcol in quantità, per promuovere i loro prossimi blockbuster, ma non possono controllare direttamente ciò che scriviamo. Ed è per questo che scrivo che non siamo influenzati direttamente, ma in maniera molto più subdola. Se fossimo direttamente controllabili, non avrebbero bisogno di organizzare questo genere di eventi; sarebbe tutto molto più semplice. Se si vuole corrompere qualcuno, si passano mazzette, si dice "Ecco i soldi; dai 9 o 10 al mio gioco.". Il fatto che organizzino feste ed eventi è la prova che di per sé una corruzione così diretta non esiste. Persino gli sviluppatori (quelli che lavorano direttamente ai giochi) sono odiati da chi deve promuovere il prodotto, per vari motivi; a volte, cambiano in corso d'opera alcune caratteristiche del gioco che la promozione stava pubblicizzando, oppure ritardano l'uscita del gioco perché credono non sia pronto per il mercato... Tutte queste cose vanno contro i piani promozionali e mandano in bestia chi si occupa di queste cose.

Wow! Ho appena controllato il contatore delle parole, e ne ho scritto più di 3000; nonostante questo, sento di aver solamente scalfito la superficie, visto che i problemi dell'informazione video-ludica sono molto più ampi e complessi di come ho cercato di descriverli. Credo sia doveroso concludere questo articolo con qualche esempio di cattiva condotta da parte dei siti d'informazioni, così da dare un assaggio ai lettori su come queste cose funzionano in linea di massima.

Le magagne di IGN, EDGE e Famitsu (tra gli altri)

IGN, probabilmente il più grande sito di informazione videoludica, utilizza un software chiamato gamermetric per fini di marketing. Questo strumento permette di guardare ed analizzare il comportamento dei lettori online, sia sul sito che sul forum. Le informazioni raccolte vengono poi usate per posizionare prodotti e pubblicità. A tal proposito, per IGN, un post nel forum con determinate parole che punta ad una certa direzione diventa più remunerativo di qualsiasi altro articolo, recensione o intervista che viene pubblicato. Questo software non solo osserva i lettori, ma analizza anche i loro movimenti, le loro azioni, le parole che scrivono; IGN vende poi questi dati per creare pubblicità apposite per il sito.

EDGE è ora una rivista acclamata all'unanimità, ma in passato chi lo gestiva è stato spesso protagonista di episodi poco chiari; a metà anni Novanta, Future Publishing (l'editore di EDGE) era in aspra competizione con la EMAP (un editore che ora non ha più alcuna attività nell'industria videoludica, ndr), che ai tempi pubblicava riviste mono-piattaforma a tema Sega e Nintendo. Era il periodo in cui Sony entrava nel mercato, e disse chiaramente che non le dispiaceva se uno dei due editori pubblicasse una rivista ufficiale per Playstation, così da accompagnare il lancio della nuova console.

Conoscendo le relazioni della EMAP con Sega e Nintendo, Future Publishing cercò di far di tutto affinché la licenza di Sony non finisse nelle sue mani. La linea editoriale di EDGE cambiò all'improvviso: ogni occazione era buona per incensare la Playstation, ed affossare i prodotti di Sega. Quando le console delle due compagnie furono rilasciate in Giappone, immediatamente i giornalisti di EDGE trovarono tutte le scuse per giustificare il fatto che il Saturn vendeva meglio di Playstation, e misero in circolazione una voce che voleva Sega rilasciare una nuova versione del Saturn, con una potenza pari alla console di Sony (rendendo quindi la prima versione obsoleta). Persino le recensioni furono utilizzate per creare attesa nei confronti della Playstation a discapito del Saturn; così, EDGE dichiarò che Ridge Racer era un gioco di corse arcade perfetto, ed il fatto che avesse un solo circuito non era per niente un problema. Sega Rally, secondo EDGE, era invece brutto, e con appena 3 circuiti (così scrissero, sebbene i circuiti fossero 4) non aveva abbastanza contenuti. La missione era così compiuta, e la licenza dell'Official Playstation Magazine andò a Future Publishing.

Se pensate che questo esempio sia troppo... leggero, pensate alla reputazione che EDGE aveva in quel periodo: la bibbia dei videogiochi, le recensioni più autoritarie e complete dell'industria, e via dicendo. E così arrivò un gioco chiamato Turok 2, e nello stesso numero della rivista che lo recensiva, fu allegato un libricino pubblicitario che ne parlava, che ovviamente fu pagato da Acclaim (la software house, ndr) e che conteneva addirittura pezzi scritti dallo stesso staff di EDGE. La recensione di Turok 2 vera e propria era riempita di lodi ed espressioni di giubilo, su quanto il gioco fosse bello, tant'è che una volta finita di essere letta, uno si poteva chiedere come mai il voto fosse solo un 9 e non un 10 (che chiaramente meritava, secondo il recensore; ai tempi, l'unico gioco a ricevere un 10 da EDGE fu Super Mario 64). C'era però un piccolo problema (senza considerare il libricino pubblicitario che uscì con il numero stesso): quando la recensione apparì su EDGE, il gioco era ancora in fase di sviluppo, e ci sarebbe voluti altri quattro mesi per terminare i lavori. Com'era, quindi, il mantra di EDGE circa l'essere indipendenti e non influenzati dalle aziende, essere la bibbia dei videogiochi e così via?

La più grande rivista di videogiochi al mondo è statunitense, e si chiama Game Informer. Con oltre 3 milioni di lettori, Game Informer supera di gran lunga EGM, la più importante rivista in Europa. Proprio come Gamefan, con la quale ho iniziato questo articolo, Game Informer aprì all'inizio degli anni Novanta. Inizialmente era una mini-rivista che veniva data gratuitamente nei Funcoland, dei negozi che ora non esistono più; ora, Game Informer è posseduta niente meno che dalla più grande catena di negozi di videogiochi del mondo: GameStop. Questo colosso possiede più di 5.000 negozi in tutti i territori. È sempre un male per i consumatori quando l'azienda che ti vende i prodotti è la stessa che vende una rivista dove gli stessi prodotti devono essere recensiti. Gli editori di Game Informer fanno del loro meglio per cercare di essere il più indipendenti possibili, ma una controversia scaturì nel 2004 quando uno di essi disse qualcosa non avrebbe dovuto dire. Egli scrisse: "Quando recensiamo un gioco, dobbiamo tenere in considerazione quanto il grande pubblico lo voglia.". In altre parole: se il gioco venderà bene di suo, è tutto a posto; ma se potrebbe vendere meglio con un voto più alto, un 8 può diventare tranquillamente un 9.

In Giappone, Famitsu della compagnia Enterbrain è la più letta rivista di videogiochi, ed è anche quella dove è più facile ottenere un voto alto, perlomeno se l'azienda si chiama Square Enix o Nintendo. Alcune software house hanno accordi con Enterbrain con i quali vengono letteralmente decisi i voti per i loro giochi, e l'unica cosa che i giornalisti possono fare è dare quel voto ed essere un po' creativi scrivendo la recensione. Così, quando Square Enix si preparava al lancio di Final Fantasy VII: Dirge of Cerberus per PS2, lo staff di Famitsu si trovò con una bella gatta da pelare. Quel gioco era di fatto uno schifo ingiocabile e pieno di bug (credeteci o no, ma la versione occidentale, per quanto brutta, era niente in confronto a quella giapponese), ma i recensori erano comunque obbligati a dare come voto almeno 7, che era il minimo voto pattuito con Square Enix (le recensioni di Famitsu sono formate da quattro giudizi di altrettanti recensori; ognuno dà un voto da 1 a 10, e così il voto finale è in quarantesimi, ndr).

A quel punto, i giornalisti di Famitsu cercarono di inventarsi qualcosa e, seppur solitamente le loro recensioni erano pronte qualche giorno prima del lancio del gioco (essendo Famitsu una rivista settimanale), la recensione di Dirge of Cerberus non uscì nella settimana di lancio del gioco. E nemmeno la settimana dopo. E nemmeno quella dopo ancora. Dopo ben tre settimane (e sono sicuro che ci fu molta pressione sui recensori da parte di Enterbrain e di Square Enix), finalmente la recensione fu pubblicata. Pur con qualche critica nel testo della recensione, il gioco ricevette i suoi 7 d'obbligo (per un totale di 28 su 40), guadagnandosi così un Silver Award da Famitsu. Per i lettori giapponesi, era ovvio che Famitsu fece ciò che doveva fare, ed aspettando tre settimane prima di pubblicare la recensione, permise ai videogiocatori di fare passaparola su quanto terribile fosse il gioco, e quindi un voto comunque discreto non ebbe alcun effetto sulle vendite.

Andrew Vestal, un ex-giornalista di videogiochi che ai tempi viveva in Giappone, disse la sua inquadrando perfettamente la situazione: "un gioco che prende 7/7/7/7 e la cui recensione viene rinviata per ben tre volte comunica un messaggio ben preciso. Ci dice che tu sei la software house, noi siamo la stampa, e facciamo ciò che ci dici di fare, ma non vogliamo nemmeno pensare che là fuori ci sia qualcuno che non pensi che questo gioco è uno schifo. Il tuo gioco prende il minimo dei voti richiesto dai nostri recensori. Si guadagna il Silver Award ma nel frattempo il passaparola tra i videogiocatori ha fatto il suo lavoro."

http://www.wiitalia.it/2014/01/22/ce-del-marcio-nella-stampa-videoludica-vol-2/

L'articolo, come detto, è abbastanza vecchio ( con una ricerchina in google si può trovare qualche versione inglese, ad esempio qui --> http://www.gaiaonline.com/guilds/viewtopic.php?t=22408769 ) ma l'ho scoperto soltanto qualche giorno addietro, fortunatamente in una lingua che tutti possono comprendere.

Mi pare decisamente in tema con l'accaduto/thread.

Bluforce

Lo metto fra le cose da leggere. E' un malloppone mica male.

Nel frattempo: ma solo a me non hanno mai offerto soldi per scrivere cose belle o neutrali?
Oh, guardate che sono a disposizione eh!
LOL

Turrican3

Citazione di: Bluforce il 24 Gennaio, 2014, 11:51:44E' un malloppone mica male.

Me ne rendo conto... ero/sono titubante infatti per questo, ma credo che il giuoco valga la candela (per quanto ahimè non vengano svelati chissà quali retroscena ignoti :|)

CitazioneNel frattempo: ma solo a me non hanno mai offerto soldi per scrivere cose belle o neutrali?

Campacavallo! :hihi: